sabato, agosto 12, 2006

Enforcada



Una casa di legno e cartone, un piccolo gazebo rivestito di erba secca, tanta gente, tanti bambini. Tutto attorno i carri coi cavalli spennati. Sotto al gazebo, la bambina: 12 anni e una cassa di legno un pò stretta. Poca gente attorno a lei, un piccolo stereo, un amplificatore: musica certanesa, country brasiliano con accento spagnolo. Musica di chiesa, troppo dolce e troppo triste. La madre e il padre, due occhi in due, gli altri andati per il tanto alcol. Quell'odore di polvere che ti fracassa la gola. La madre mi invita a guardarla, alza il velo, un fazzoletto di cotone tutto sporco. Il volto enorme, un rivolo di sangue dal naso. Il corpo gonfio e rigido, le palpebre nere. Tante mosche, una coperta giallognola. Un tavolino incerto a sorreggere la cassa, con qualche foglio di giornale sopra. La macchina fotografica nello zaino. Chiedo se è il caso: no, non è. Però sento che devo, vai, prendila di nascosto. Come puoi pensare ciò, Andrea. Dove è il rispetto? E il lavoro? Non puoi farlo di nascosto. Ma devi; non puoi. Non lo faccio. Il padre prende il microfono, ringrazia dio e comincia una preghiera. Tante donne con una mano sul volto in lacrime, l'altro braccio teso. Una litania di suoni e parole, piangendo a voce alta. I vecchi zoppicanti col cappello in mano, stanchi. La sorellina più piccola porge alla madre una caramella caduta a terra: lei la prende in braccio, la guarda con l'occhio andato, la allatta un pò. Il seno avvizzito, mentre la polvere ingoia tutto. Un odore nuovo: la morte. Di 12 anni, una corda ed un albero. Enforcada. Forse un amore con un uomo sposato, le botte dei genitori per quel ragazzo nove anni più grande. Il silenzio e le ubriacature. Sempre quella musica, che canta di fiumi e di gente unita: "il rio grande ci ha visti innamorati e felici". Odore di bruciato. Lo strazio. Una ciocca di capelli viene portata via. Cani e gatti denutriti presi a calci, per gioco.
Chiudo gli occhi per vedere se ci sono un pò di lacrime. Per sentire il fondo della tristezza. Per vedere quella non-faccia trasformarsi in una faccia nota. Niente lacrime. Non capisco, non so nulla, non trovo nessun perché. Solo la sensazione che il corpo stia fluttuando lontano da me, e una certa mancanza del mio mondo, quello protetto, quello fortunato.